Trascrizione Fonetica
Sistema adottato per la scrittura in greco salentino
Nel procedere alla traduzione in greco salentino, ho cercato di usare termini di origine greca evitando per quanto possibile parole italiane o alloglotte; nei casi in cui ho dovuto usare vocaboli dialettali o di altre lingue, questi sono stati scritti in corsivo. Bisogna dire a tal proposito che, per la maggior parte, queste parole di non derivazione greca, sono state assorbite, nel corso del tempo, dal griko, tanto che sono oggi usate abitualmente da chi parla questa antica lingua e che le ha fatte sue a tutti gli effetti.
A livello fonetico, le soluzioni adottate sono le seguenti:
c e raramente g rappresentano il suono delle affricative postalveolari, (le c e le rarissime g dolci); (ital.: ciliegia, cielo), (gr. salent.: cerò pedàcia, kalangi)
k rappresenta il suono dell’occlusiva velare sorda, la c dura (ital.: casa) (gr. sal.: kinita, kuddhura)
ch rappresenta il suono della fricativa velare sorda, corrispondente al greco χ; (chera= mano, chlorò = verde, chorèo = ballo)
g rappresenta il suono dell’occlusiva velare sonora ( g dura ); è resa secondo l’ortografia italiana (gala = latte, ngonghito = cretinetto)
Per l’occlusiva velare sorda q si usa come in italiano; quai = qualcuno
La nasale palatale (gn) viene indicata secondo l’ortografia italiana; velagna = ghiande
Il gruppo gl va inteso come la successione della occlusiva velare sonora e della laterale velare (ital. geroglifico) ( gr. salent. glicèo = dolce)
La fricativa postalveolare sorda viene indicata con sc ( ital. scempio) ( gr. salent. kòscino = setaccio)
ddh rappresenta il suono dell’ occlusiva retroflessa sonora, d cacuminale (come nel leccese beddhu), (in gr. salent.: addhasso = cambio, fiddho = foglia)
ż (żż) rappresenta il suono dell’ affricata alveolare sonora, ż dolce (ital.: zeta, mezzo); ( gr. salent. riżża = radice).
ps, x rappresentano il suono della z sorda e si utilizzano per quei suoni che derivano rispettivamente dalle greche ψ(psi) e ξ(xi). Ad es. “psichì” (anima); “èpepse” (mandò); “xilo” (legno); “xerò” (secco); “xefortonno” (io scarico);
z (zz) rappresentano il suono della zeta sorda non derivante da ψ(psi) ξ( xi) koddhizza = erba del vento, ammazzidi = sanguinaccio
j indica il suono della i semiconsonantica approssimante palatale (juventus, Jugoslavia).
Per quanto concerne la rappresentazione grafica di alcuni fenomeni grammaticali, si richiama l’attenzione ai seguenti dettagli:
- L’apostrofo all’inizio o alla fine di una parola indica la caduta di una lettera (sti’ = stin; ‘en = den; ‘s = es; milusa’ = milùsane).
Il segno di elisione è molto importante quando si trova alla fine della parola perché sta ad indicare la caduta di una consonante (o di una intera sillaba), determinandosi così il raddoppiamento della consonante iniziale nella parola successiva.
Ad es. nel leggere l’espressione sti’ tàlassa la n di stin viene elisa ma non scompare e si assona alla t di tàlassa per cui si legge sti ttàlassa. La n invece si conserva davanti alle consonanti sonore (es. stin dulìa, kalòn vrai), mentre determina la trasformazione in gh della j iniziale nella parola che segue: ‘en ghiureo, tin ghetonìa.
- L’accento circonflesso (^) indica la crasi, cioè la fusione di due vocali, quella finale di una parola con la prima della parola successiva, che in certi casi possono dar vita a un’altra vocale.
Ad es. nârti = na erti; mûpe = mu ipe; sôfera = su èfera.
- Le parole piane non sono accentate; l’accento è stato segnato in tutte le altre (tronche, sdrucciole e bistrucciole).
- Gli aggettivi possessivi nella forma enclitica vengono uniti ai nomi a cui si riferiscono con un trattino. Ad es. O ciuri’-mu, e mana-mu.
Per quanto riguarda la negazione den è stata rappresentata a seconda dei casi con den, ‘en, ‘e’, de’.
An den echo = Se non ho
‘En echo tipo = Non ho niente
‘E’ telo = Non voglio. In questo caso nel parlato la t si raddoppia per l’assimilazione della n di den e si legge: e ttelo.
An de’ polemà ‘e’ troi = Se non lavori non mangi. Anche in questo caso sia la p di polemà che la t di troi nel parlato si raddoppiano.
Anna Maria Chirienti